6 storie per viaggiare nello spazio e nel tempo

Mai come in estate vien voglia di scoprire nuovi posti, liberandosi dei pensieri e degli accolli per tuffarsi in mille avventure. I libri che ho scelto di leggere nell’ultimo periodo si sono rivelati ottime guide per viaggi strepitosi nello spazio e nel tempo, così come nelle maglie della fantasia. Eccone alcuni che ti consiglio:

1. La vera storia del pirata Long John Silver

Non è estate senza un viaggio per mare, e se ci sono pirati, tanto meglio! La vera storia del pirata Long John Silver di Björn Larsson (Iperborea, 1998) ci conduce in lungo e in largo nelle memorie di un personaggio arcinoto, antagonista di uno dei più bei libri di avventura mai scritti: L’Isola del Tesoro di Stevenson. La storia di come Silver è diventato un fior fior di pirata, capace allo stesso tempo di conversare con Defoe e di farsi temere da Flint, ripercorre le sue peripezie in Inghilterra e in Francia, nelle Antille e oltre, attraverso mari e oceani. Molte sono le tempeste che si agitano dentro e fuori di lui, e vale la pena ascoltarne il rombo, sognando un’epoca di arrembaggi e codici d’onore ormai passata.

2. Gideon la Nona

Ok il mare, ma che ne dite di un bel viaggio spaziale, in visita a pianeti dove il macabro e il derelitto sono di Prima Casa? Ecco, se Halloween è la vostra festa preferita e adorate le atmosfere cupe e i luoghi labirintici alla Gormenghast, Gideon la Nona di Tamsyn Muir (Oscar Fantastica, 2021) è quello che fa per voi: necromanti, paladini, zombie e scheletri, strani laboratori, lotte e sfide mortali in una storia emozionante quanto dissacrante che vanta personaggi pazzeschi, a partire dalla sua protagonista.

3. The Old Ways

Viaggiare in treno, in macchina, in aereo, in barca… No, a Robert Macfarlane piace viaggiare a piedi. In questo splendido saggio ci parla dei vecchi sentieri e dei cammini: che cosa rappresentano, come sono fatti, dove si trovano e perché ha senso percorrerli ancora oggi, sulle nostre gambe, nonostante tutte le evoluzioni tecnologiche. Io lo sto leggendo in inglese, ma lo trovate anche in italiano, pubblicato da Einaudi nel 2018 col titolo Le antiche vie.

the old ways

4. Egnaro

In Egnaro il viaggio è un desiderio che porta alla follia. Perché “Egnaro è un segreto che tutti conoscono tranne te. è un paese o una città in cui non sei mai stato; è una lingua sconosciuta“.

In questo racconto di M. John Harrison, scoperto grazie alla rivista di letteratura weird e fantastica Hypnos, (numero 13, autunno 2021), il protagonista inizialmente scettico è testimone della parabola discendente del tuo cliente, Lucas, un uomo ai limiti della società che gestisce una libreria. Lucas cerca inutilmente di farsi credere, quando parla di Egnaro: città nascosta negli interstizi e nei momenti vuoti, che tutti conoscono ma di cui nessuno parla apertamente. Una meta che lui vorrebbe a tutti i costi raggiungere, ma che gli resta preclusa. Fino a quando…

5. I Greenwood

Anche in questo caso, un viaggio insolito nelle maglie del tempo e dello spazio, dal Canada all’America, attraverso più di un secolo di storia che comprende anche un pezzetto del nostro prossimo futuro. Leggere I Greenwood, di Micheal Christie (Marsilio, 2021), significa sfogliare la vita travagliata e ricca di sorprese di una famiglia per diverse generazioni, cercando di venire a capo del mistero sui legami di sangue di una bambina. La struttura del romanzo sonda le esistenze dei protagonisti come un dendrologo farebbe con gli anelli di un vecchio albero. La conclusione accoglie perfettamente il messaggio su cui poggia l’intera storia:

E se una famiglia non fosse affatto un albero?, pensa mentre cammina in silenzio. E se assomigliasse più a una foresta? A un insieme di individui che mettono in comune le proprie risorse attraverso radici interconnesse, proteggendosi a vicenda dal vento, dal caldo e dalla siccità, proprio come fanno da secoli gli alberi di Greenwood Island?

6. Agatha Christie: il giro del mondo

Questo album di lettere e fotografie pubblicato a cura di Mathew Prichard è un viaggio nel tempo e nello spazio capace di meravigliare e scatenare l’ilarità quando meno ce lo si aspetta. Nel 1922, più di un secolo fa, Agatha Christie partecipò al British Empire Exhibition Tour in quanto moglie del Colonnello Archibald Christie, qui chiamato affettuosamente “Archie”: ecco allora che i suoi resoconti e le sue lettere, con brillanti passaggi ricchi di humor tipicamente inglese, ci portano a spasso per il Sud Africa, l’Australia, la Nuova Zelanda, le isole del Pacifico e infine il Canada. Co-protagonista di questo viaggio nel vecchio Commonwealth, un uomo che Agatha trasformò abilmente in personaggio letterario da amare e odiare insieme: il Maggiore Ernest Belcher. Forse la cosa che più mi è rimasta impressa, al di là del linguaggio fresco e privo di peli sulla lingua della famosa autrice, sono le sue prodezze con la tavola da surf da Città del Capo a Honolulu!

Agatha Christie surf
foto di BBC Arts

Se ti piacciono i viaggi nel tempo, allora leggi anche Come fermare il tempo di Matt Haig.

Respirare Mumbai

Da Megalopolis a Shantaram : in viaggio con le parole

La lavastoviglie si è rotta due settimane fa. Una seccatura, vien da dire, se non fosse che il lavare i piatti a mano si è fatto rito, col passare dei giorni, e ormai quasi pregusto questo momento.

L’acqua scorre. Esce dal rubinetto costante, calda, e si infrange in schizzi sulle stoviglie, sui bicchieri di vetro e sui piatti in ceramica che riempiono il lavabo. Strofino via lo sporco con la spugna imbevuta di detersivo. Lavo senza guanti, non li sopporto, ma sulle nocche già avverto un bruciore, si stanno formando delle piccole bollicine rosse. Un fastidio registrato a mala pena mentre proseguo il mio lavoro con movimenti meccanici, automatici. Dalle cuffie premute sulle mie orecchie esce la voce registrata di Pablo Trincia. Mi sembra di averlo a fianco, qui e ora, in cucina; anzi no, sono io al suo fianco, mi sta guidando per le vie scalcagnate della ricca umanità di Dharavi, il più grande slum di Mumbai, balzando da un futuro terrificante a un terribile presente, e infine arriva a Mahul,  che intossica e uccide i suoi abitanti, proiettandomi in una realtà così lontana dalla mia che fatico a comprenderla appieno, ma di cui non dubito, neppure per un secondo. Sono avvolta dai suoni, dagli odori e dai sapori dell’India in modo tanto tangibile che mi sembra di aver davvero preso un aereo.

“Dio parla all’uomo attraverso le storie”

E’ un proverbio indiano che Pablo  cita nel primo episodio del suo podcast, Megalopolis – Mumbai 2050. Voglio credere a questo, qualunque cosa sia “Dio”. La narrazione si dipana più come un lungo racconto che come un reportage. Eppure i dati ci sono, le proiezioni scientifiche pure. Ma la sensazione resta quella di essere cullata, talvolta sballottata  e stravolta dalle onde di un mare destinato a sommergere tutto.

L’acqua scorre. Panta rei, penso. Giro la manopola per calibrare la temperatura. Ora è troppo calda, ora troppo fredda. Ogni due per tre apro e chiudo il rubinetto per evitare gli sprechi, ma so che è sempre lì a mia disposizione e posso anche berla senza rischio alcuno. Spruzzo un altro po’ di detersivo sulla spugna, inumidisco, strofino, sciacquo, e ricomincio. A 6231 km di distanza, a circa cinque ore in avanti di fuso orario, si vive nel dubbio e nell’attesa: scorrerà l’acqua, oggi?

Arrivano le sei di sera. Un altro momento della giornata, un altro rito. Mi accoccolo sul letto, semisdraiata. Forse non l’ideale per un libro di 1177 pagine, ma il peso retto dai miei polsi, così come l’irritazione sulla pelle delle mani, si riduce a un fastidio trascurabile, mentre ancora una volta precipito attraverso un substrato di nuvole e ritorno corpo nel Maharashtra, alle spalle di Linbaba. Gregory David Roberts mi strappa dalla quotidianità di gennaio, fatta di piccoli e grandi acciacchi, ansie per il domani, discussioni futili e progetti instabili, e mi dice: pace. Shantaram è la prima lettura dell’anno, e già dopo i primi capitoli so che tutte le letture successive soffriranno il confronto.

dalla serie “Shantaram”, Apple Tv

La lettura di Shantaram per me è stato un conforto prezioso e insieme una roulette di emozioni. Questo libro trabocca di vita e leggerlo è come scivolare lenti sotto la superficie dell’oceano e amare ogni immersione. Lo chiudo con un profondo senso di gratitudine. E’ un romanzo-mondo che mi ha risucchiata completamente, coinvolgendo tutti i miei sensi e afferrando in una presa ferma ma delicata mente e cuore. Libri così non si leggono, si vivono, e puoi contarli sulle dita di una mano. Personaggi così ti restano incollati addosso. Prabu, oh Prabu. Come si può amare tanto e soffrire tanto? Eppure se c’è una morale in questa storia, è che non si possono calcare le strade indiane di Mumbai se non a cuore aperto. Ne immagino la consistenza e il peso sul palmo della mia mano, non dissimile dalla spugna che ho usato per lavare i piatti e che ormai porta segni di coltello. Un cuore aperto è un cuore ferito, ma non c’è altro modo per leggere, non c’è altro modo per ascoltare e non c’è altro modo per vivere.

La Mesmerista

“La Mesmerista” è il nuovo romanzo di Sara Simoni, giovane autrice italiana già apprezzata per la duologia fantasy young adult di “Ys” e per “Dolomites”.

Edito da Acheron Books, si sviluppa in 355 pagine che scorrono veloci grazie a un gioco a posta sempre più alta, tra tensione, passione, azione e mistero. “La Mesmerista” è infatti un’ucronia fantasy che si tinge di giallo e veste bene anche il rosa! 

Dalla quarta di copertina: 1920. Costretta ad abbandonare la valle trentina dove è nata a causa degli ideali politici della sua famiglia, la giovane Lena, ladra, bugiarda e mesmerista, ora vive di espedienti a Livorno, sul confine con le terre occupate dall’impero austroungarico, uscito vittorioso dalla Grande Guerra. Quando quello che avrebbe dovuto essere il colpo della vita si rivela un fiasco colossale, Lena finisce nelle mani della guardia regia. L’unico modo per evitare una condanna è diventare la pedina di un ispettore disposto a tutto pur di cancellare la minaccia dei mesmeristi dal regno, anche a usare i loro stessi poteri. Lena dovrà infiltrarsi nel palazzo e nella vita di Bastiano Adimari, uno degli uomini più ricchi della città, per rubare una preziosa arma che potrebbe cambiare gli equilibri europei. Ma Bastiano non è quello che Lena immaginava e, tra segreti e scelte terribili, il gioco dell’inganno rischia di intrappolare anche lei…

Leggendo si ha l’impressione di partecipare ad una fatale partita a scacchi tra l’Ispettore Doria, la famiglia di Bastiano Adimari e altri oscuri giocatori, partita in cui Lena Moroder viene coinvolta suo malgrado e a sue spese, sullo sfondo di una guerra a colpi di spionaggio e tradimenti tra le forze dell’Impero e quelle del Regno. E mentre il punto di vista della giovane mesmerista e quello di Bastiano ci rendono i rispettivi scopi chiari fin dall’inizio, i piani e le ragioni che muovono gli altri personaggi appaiono invece torbidi, innescando nel lettore una giusta dose di curiosità che alla fine viene senz’altro premiata. L’ambiguità di Doria è, a tal proposito, uno dei punti forti di questo antagonista eccellente, di cui non si giustifica mai la crudeltà, ma si arriva a comprenderne l’origine. 

Personaggi complessi, a tutto tondo, muovono in una Livorno anni venti tangibile e realistica: le descrizioni veicolano attraverso tutti e cinque i sensi impressioni forti e precise con un tratteggio ricco di dettagli che ben lungi dall’appesantire la lettura, ne esaltano l’esperienza. 

Un’altra nota di merito sta nell’assenza totale di infodump: le informazioni strettamente necessarie alla comprensione della trama sono distribuite con intelligenza e rivelate senza forzature, dando così il tempo al lettore di assorbirle e fare delle congetture. 

Il sistema magico, che ruota attorno alla Dottrina del Mesmerismo e che si fonda sulla teoria del magnetismo animale elaborata dal medico F.A.Mesmer, è solido e coerente. L’ucronia di Sara Simoni parte proprio da una domanda speculativa: cosa sarebbe successo se il mesmerismo fosse stato provato e non solo teorizzato? 

I mesmeristi della sua storia possono infatti espandere i loro campi mesmerici fino a ingabbiare altre persone e controllarle come burattini. Ma non solo… Le scene in cui Lena fa mostra delle sue capacità sono brillanti e cinematografiche, definendo in modo preciso i limiti e le potenzialità, ma soprattutto la pericolosità che fa del Mesmerismo una disciplina temuta e odiata nel peggiore dei casi, da sfruttare e controllare rigidamente nel migliore. 

Non bastasse il fascino della magia, dell’intrigo e dell’azione, la storia appassiona anche per il modo in cui si sviluppa il legame tra i due protagonisti, Lena e Bas: la loro relazione matura lentamente rimanendo in bilico tra verità e bugie e, benché sembri destinata alla tragedia, ci sorprende e ci fa sperare fino all’ultimo.

Ci sono altre chicche in questo romanzo che rendono superbo il meccanismo narrativo: citazioni che si possono cogliere e apprezzare, tic e modi di fare di certi personaggi che non si limitano a rivelare lati della psiche, ma sono funzionali alla trama. Niente di quello che leggiamo è lì per caso.

In conclusione mi spingo a dire che Sara Simoni con questo romanzo dimostra di non avere nulla da invidiare ad autrici celebri del panorama fantasy italiano e internazionale, da Licia Troisi a Leigh Bardugo, passando per W.E. Schwab. I diversi generi in cui spazia con abilità e il perfetto equilibrio narrativo fanno de “La Mesmerista” una storia adatta a una platea variegata, per tutti i gusti. 

Leggi o ascolta la recensione nel n.86 della rivista!

La Memoria del Samurai

La Memoria del Samurai (“The Lost Future of Pepperharrow“) di Natasha Pulley è un avvincente libro storico condito di pseudoscienza, realismo magico e fantastico steampunk. Ambientato nel Giappone del 1888, segue gli amati personaggi de “L’orologiaio di Filigree Street“: Thaniel Steepleton della legazione britannica, il formidabile Keita Mori e la loro peculiare figlia adottiva, Sei. Si trasferiscono da Londra alla residenza di Keita vicino a Tokyo, ma presto si ritrovano intrappolati tra fantasmi del passato e fantasmi di molti possibili futuri: il tempo si fa elettrico e la città è infestata; risolvere il mistero che ha messo in moto questo viaggio potrebbe costare loro non solo la vita insieme, ma molte altre vite mentre la guerra incombe…
Ho adorato questa storia. In particolar modo ho apprezzato il personaggio qui introdotto della moglie di Mori, Takiko Pepperharrow, il cui punto di vista e la cui storia mi hanno catturato e intrigato dalla sua prima apparizione. Fino alla fine “La Memoria del Samurai” mi ha tenuto sull’orlo della sedia. La Pulley ci offre un seguito molto divertente e affascinante che ha la capacità di trasportarci nella storia accanto a personaggi indimenticabili.

Unico rimpianto dell’edizione Bompiani è la perdita del titolo originale, a mio parere davvero perfetto, nonché la presenza di Katsu, il polpo meccanico, in copertina: meriterebbe uno spin off come protagonista assoluto.

Il titolo “Il futuro perduto di Pepperharrow” col senno di poi è uno spoiler grande come una casa, ma non basta a salvarci dal trauma. Grazie Natasha!

La lunga attesa di questa edizione (due anni dalla pubblicazione Bloomsbury!), è stata comunque ben ripagata e mi sento di ringraziare Bompiani per aver mantenuto la cura e la qualità che contraddistinguono i primi due volumi: La Memoria del Samurai è un degno compagno de l’Orologiaio e de Le Torri di Vetro, tanto che lungi dal saziare la curiosità del lettore crea nuove aspettative e speranze per futuri progetti.

In attesa di scoprire se si aggiungerà un quarto volume alla saga dell’Orologiaio, possiamo intanto approfittare del periodo natalizio e ritrovare a sorpresa i nostri amati Mori, Thaniel e Sei in un racconto intitolato “I cantori delle anguille“, presente nella raccolta Natale con i fantasmi pubblicata da Neri Pozza nel 2021 e riproposta quest’anno in una veste rigida davvero elegante!

Wrap Up – Giugno 2020

Giugno è iniziato nelle maglie della fantasia e della spiritualità ed è proseguito con racconti di vita più o meno biografica. Si è chiuso con un saggio che è stato come un pugno in faccia, con la scritta pugno sulle nocche.

1. GUNA di Masi e Nigraz [@simonepontieri]
Pubblicato da Edizioni NPE. Un racconto grafico che mi ha deliziato con le sue magnifiche illustrazioni, ma ha anche generato curiosità e molte domande sulla Teoria dei 10 Mondi. 4,7/5

2. LA CITTÀ DI OTTONE di S.A. Chakraborty. Anteprima Mondadori @oscarvault. Il primo libro della trilogia di Daevabad, con atmosfere da Mille e una Notte e una platea di personaggi dipinti in sagace chiaroscuro. Avvincente! Troppe descrizioni superflue rischiano però di appesantire la narrazione e come la maggior parte degli YA si profila all’orizzonte un triangolo amoroso che Renato Zero liberaci. Per saperne di più leggete la recensione completa 4,5/5

3. UNA DONNA di Annie Ernaux. Pubblicato da L’Orma Editore.
Una scrittura così non l’avevo mai assaporata. È affilata come una lama da macellaio, precisa e puntuale come il proiettile di un cecchino professionista. Mi ha ospitato nelle case e nei paesi di sua madre, intrecciando sapientemente la memoria biografica alla storia sociale. Una splendida scoperta, recupererò quanto prima le altre opere di questa autrice. 5/5

4.GLI INCONVENIENTI DELLA VITA di Peter Cameron, (di cui leggerò Un giorno questo dolore ti sarà utile). Edito Adelphi. Dopo un inizio pieno di dubbi e inciampi, la lettura del racconto LA FINE DELLA MIA VITA A NEW YORK si è rivelata profonda e interessante. Il dolore trasuda nell’esistenza del protagonista, purtroppo incapace di superare il trauma di un grave incidente da lui causato. Il suo compagno e una sua cara amica tentano senza riuscirci di trascinarlo fuori da questo stato, che forse potrebbe cambiare solo abbandonando New York e ricostruendosi altrove. 3,7/5 // Il secondo racconto, DOPO L’INONDAZIONE, anche grazie al p.o.v in prima persona davvero riuscito e alla traccia di altre tematiche, mi ha coinvolto e affascinato molto più. 4,8/5

5.POSSIAMO SALVARE IL MONDO, PRIMA DI CENA di Jonathan Safran FoerGuanda editore. Un pugno in faccia di cui abbiamo davvero bisogno condito di necessaria, quanto condivisa, autocritica. Leggetelo! 4,9/5 -> meriterebbe un 5 pieno solo per l’importanza, ma risulta ripetitivo in certi punti.

Casa di Foglie

uno sconclusionato diario di lettura*

*[Attenzione ai naviganti, potenziali spoiler]

Questo non è per te“.

Apro Casa di Foglie con solo una vaga idea dell’incredibile viaggio che mi aspetta… La citazione iniziale non mi spaventa abbastanza da farmi desistere.

3 febbraio 2020. Sto leggendo “Casa di Foglie” di Mark. Z. D. Sono arrivata al cap. IX, p. 116. Si mantiene un senso di spaesamento, curiosità e leggera inquietudine. Non riesco a leggere più di due capitoli alla volta, è tosto quanto contorto. Per ora sia la storia di Johnny, sia quella di Navidson mi trascinano. Non vedo l’ora di arrivare alle pagine più strane…

6 febbraio 2020. “Casa di Foglie”, ore 11.00. La nota 146 si estende, incolonnata a sinistra, da p. 130 a p.148, una lista di case, ville e monumenti in diversi stili architettonici. Ovviamente le ho dato una veloce scorsa, col [ ] che me la leggo tutta. Questa nota è un corridoio stretto e buio che conduce a un vicolo cieco. Fa parte del gioco, regala la stessa sensazione di frustrazione e soffocamento [che avrà provato N. durante l’esplorazione]. E la nota 144 è specchiata! Ma cosa…?!

7 febbraio 2020. Le note sono come gradini; talvolta sono corridoi oscuri e vicoli ciechi e altre volte scale verso il cielo. Non meno oscure le appendici. Il più grosso quesito che mi rimane è: Johnny si sta facendo condizionare dal libro di Zampanò in virtù di una sua predisposizione genetica alla follia, o invece è lecito pensare che sia stato intrappolato nella casa dal libro stesso? Le note a p. 151 sono particolarmente frustranti.

8 febbraio 2020. emicrania.

d o l o r o s a

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d a l l a

l e t t u r a. 2020 oiarbbef 9

10 febbraio 2020. n. 183. Ho dovuto prendere in prestito lo specchio di Sara per leggerla. Perdersi nella Storia del Cinema è facilissimo. n.184. Se questa intervista esiste vale la pena recuperarla. Yes, it does! n.187: molto interessante, Mark, ma tu ci starai già lavorando… n.191: trovo davvero affascinante questa manifestazione fisica degli effetti della casa su Reston e gli altri:

LABIRINTO [casa] <—-> LABIRINTO [orecchio interno] = vertigine, confusione, vomito.

11 febbraio 2020. n.192: Johnny T. fa qualcosa di imprevisto e [ ] … vivo. n.193, p. 159. La Belle Nicoise et le beau chieu mi obbliga a interrompere la lettura per verificare. Aaargh! (Comunque è falso per fortuna. Ci sono arrivata dopo 20′ di ricerche a vuoto, perché Internet è una bestia peggiore di queste note). Pag.169: “I tre decidono di separarsi”. facepalm. P.177, n.202: è l’impressione che mi ha dato dall’inizio. La casa [ ] e [ ] in conseguenza di chi c’è dentro.

12 febbraio 2020. Sono a pag 325 curiosa di capire se Navidson resterà lì, [prigioniero della casa fino alla morte]. E Johnny, che ormai sembra irrimediabilmente PERDUTO? Che ne sarà di loro? // ore 22.30. Ho letto il racconto “La Lotteria” di Shirley Jackson. Il finale si rivela poco a poco attraverso certi dettagli che ti innestano un minimo di sospetto e ti mettono sul chi va là…, è inquietante sopra ogni immaginazione. MAGISTRALE. Leggerò volentieri gli altri della raccolta, magari con del vino rosso e un po’ di cioccolata.//

13 febbraio 2020. p.347. In relazione a “Halloway” e Navy, la frase:

“le riprese recuperate in quella terribile oscurità ci hanno insegnato che, anche se il sentiero è diverso, la meta potrebbe non esserlo”

, indica che la casa farebbe impazzire anche un santo. Questa affermazione è cibo per la mente, non mi convince del tutto. P. 351. Non è stato il mostro a [ ] H., ma la casa lo ha [ ]. vs Tom, umorismo, forza del riso contro quella delle armi.

Cap. XVII. Floyd Collins, Kentucky, 1925. vero/falso? (vero!). Antico mantra Hak-kin-Dak… sembra una presa in giro. vero/falso? (falso, ma ispirato). p. 348. In un momento di totale smarrimento si rende necessario riaffermare la propria identità, il proprio ESSERE.

“L’immensità della casa di Navidson elude l’inquadratura”

L’oscurità è tale che tra una stanzina e una sala di Moria non c’è differenza, almeno non all’interno della ripresa e forse nemmeno nella mente di chi vi è intrappolato.

la storia di Androclo e il leone

.il mito è Redwood. Appendice B. -> Pelikan? Non mi è chiaro.

.Però è interessante il confronto tra Tom e Holloway, l’uso dell’umorismo si rivela efficace per tenere a bada il mostro della paura.

p 351, nota 301. La diabolica macchina di Perillo, Falaride.

14 febbraio 2020. 15 febbraio 2020. Cap. XV Le Opinioni degli altri, p. 369. A parte il sorriso che mi suscita vedere celebri nomi tra gli intervistati e a parte l’interesse più o meno grande riscosso dalle loro opinioni, posso dire che dal mio punto di vista l’unico che dica qualcosa di sensato sia S.King. Divertente perché lo scrittore tende a equiparare il valore del simbolo alla cosa stessa, ed è l’unico ad intuire che essa è reale, “da farsela sotto dalla paura”, mentre tutti gli altri analizzano il documentario con occhio clinico, sondando possibilità e motivi nella psicologia, nell’architettura, in problematiche di regia che lasciano il tempo che trovano. Domenica 16 febbraio 2020. Cap. XVI. La possibilità di affrontare il problema dal punto di vista scientifico viene ridotta a mera suggestione e solo attraverso le note. Cap. XVII. Navy torna a casa. 4a vittima (non proprio, ma così sembrava al momento). *Delial non lo ha mai lasciato e probabilmente vedere Tom morire per salvare Daisy lo ha distrutto. Un senso di colpa tale da portarlo al s[ ]. vedi Kevin Carter, Pulitzer 1994.

n.367. “…che le più grandi lettere d’amore sono sempre scritte in codice per una persona e una soltanto”

Delial = albatro

n.372. è stato il dubbio che mi ha roso in questi giorni, prendendo in esame l’opportunità di scegliere un tema come quello della [ ] Un’immagine che fa sanguinare e che non posso smettere di dimenticare.

*infatti, vedi n.377! Ormai riesco a precederti, Mark!

p. 392. spunto interessante. Svariati campioni della casa sembrano risalire a prima della [ ].! n. 348. materia extraterrestre, interstellare?? n.350. ovviamente, oltre a bestemmiare, il lettore si chiederà se è davvero colpa di JT o se le 17 pagine mancanti sono opera di qualcos’altro. Da utilizzatrice di boccette d’inchiostro tendo a essere sospettosa. P.396. rendersi conto che avresti potuto saltare le tre, quattro pagine precedenti, note comprese, e arrivare comunque al succo del discorso. Odio et amo questo libro.

P.397. “Le menti più scrupolose, tuttavia, considerano le congetture scientifiche sulla casa alla stregua dell’ennesimo vicolo cieco. Ancora una volta il linguaggio dell’obiettività fallisce nel produrre un’analisi adeguata della natura dell’edificio di Ash Tree Lane.” Grazie al cazzo, Mark.

p.399. Toh, una persona chiaramente non del tutto stabile riesce ad acquistare pistole e fucili on line, senza alcun controllo. Gooood moorning, U.S.A.! p.400, n.356. è la forma del saggio critico che la investe di credibilità e raggiunge questo formidabile risultato. MA allo stesso tempo siamo troppo distanti dalla casa, studiandola in questo modo, per poter trasformare l’inquietudine in vero terrore. (nonostante la grafica in un certo senso aiuti. v. pagine 463 e seguenti.) p.499. maledizione, non mi ricordo come si legge lo spartito. L’esplorazione n.5 è un misto di disperata rassegnazione e angosca, ormai pensi che N. sia fottuto. Però ti ritrovi nel frattempo ad ammirare Karen e Reston. Soprattutto K.

p.513.Come a dire che non solo questo libro non si può distruggere, ma nemmeno incolpare. […] Credo che qualcosa mi stia possedendo, in questo momento“. Le seguenti pagine di JT sono tra le più angosciose e dure di tutto il libro. Se prima lo osserviamo lentamente solo avvicinarsi a questa spirale di follia, qui cade, cade, cade… p.515. “Dormo sotto le panchine. Con me ho solo le pagine svolazzanti del mio libro di Dante, un tale fiorentino…” L’Inferno, suppongo. Non potevi trovare una lettura più adatta. p.517. urgh…passaggio indigestibile. p. 528.Mi suscita una pena immensa, perché spero che possa avere anche lui il suo riscatto, ma allo stesso tempo il dannato libro ti confonde così tanto che non sai se quello che stai leggendo è vero o no. Non sai se sperare. p.529. Fanculo, Mark. p.539.Spiacente, non mi resta più nulla. So fucking depressing. Ovviamente potrei fare un sacco di considerazioni su quanto la spirale discendente di JT somigli alla discesa/risalita di Navidson nell’ultima esplorazione… Sono entrambi estremamente provati dalla vita, ma uno aveva qualcosa da perdere, per cui lottare, l’altro forse no.

p. 548. Sono contenta di come sia andata a finire per Navy, Karen e i bambini, anche se dopo tutto quello che gli hai fatto passare, caro Mark, potevi almeno risparmiarla da [ ]. Il fatto che la casa sia [ ] non mi sorprende né mi turba, anzi, spiega molte cose. L’ultima immagine è davvero suggestiva.

Chiudo Casa di Foglie con ancora qualche interrogativo, molto provata, ma davvero soddisfatta di averlo letto. Forse questo libro mi ha tolto un poco di sanità mentale, ma mi ha dato molto su cui riflettere e mi ha trascinato e cullato insieme, facendomi smarrire per giorni in uno spettacolare labirinto che è insieme tragedia, horror e storia d’amore.

Recensione ottobre 2019 – Kobane Calling

Zerocalcare non ha davvero bisogno di presentazioni. Quest’anno davanti allo stand Bao Publishing del TCBF, una lunga coda di fan e appassionati lettori attendeva paziente sotto l’ultimo sole estivo, proprio per incontrare lui e ottenere un disegno e un autografo. Varie le pubblicazioni: da Dimentica il mio nome a Macerie Prime, da Un polpo alla gola a La profezia dell’armadillo, ogni pagina svela un pezzetto in più del puzzle “Michele Reich”, condividendo con il lettore timori e patemi del crescere, riflessioni e idealismi, valori e contrasti… nonché la sua dipendenza da plumcake e l’amore per Rebibbia, il suo quartiere, che se prima era nota solo per il carcere, grazie a lui viene ricordata per la storia del Mammuth, (v. Museo del Pleistocene, Casal dei Pazzi).
In questi giorni però, per giunta all’approssimarsi del 4 novembre, le notizie dal nuovo fronte di guerra ci portano a considerare una sua opera del 2016: Kobane Calling, un reportage a fumetti che racconta i suoi viaggi da staffetta in Kurdistan, nel pieno della resistenza contro l’ISIS. Nei risguardi iniziali del volume è stampata la mappa con i luoghi del primo viaggio, compiuto nel novembre del 2014, mentre in quelli finali la mappa del secondo viaggio, nel luglio del 2015, dove il “puntino bianco coatto” che era la città di Kobane, assediata e circondata, è diventato una striscia di territorio che arriva fino alle porte di Semelka, al confine con l’Iraq. In mezzo, la vita di tutti i giorni che procede “sempre in bilico tra corse e impicci, imbrogli e accolli”.
In 261 pagine dense e tostissime ritroviamo l’elemento biografico, l’umorismo romanesco e l’abbondanza di citazioni della cultura nerd tipici dell’autore. La voce schietta e venata di ironia di “Calcare” testimonia con spirito critico e forte coinvolgimento emotivo l’incontro con il popolo curdo e la sua resistenza, a dispetto di Daesh e delle mire politiche di Erdogan, il districarsi tra sigle come PKK e YPG, nonché la sua esperienza in Rojava, un territorio dal 2018 denominato Federazione Democratica della Siria del Nord. Uno sguardo scoperto e curioso il suo, senza ipocrisie né pregiudizi, che si fa strada pian piano tra la polvere e il fragore lontano delle bombe, la luce dei traccianti, le parole e i canti dei civili e dei combattenti riuniti a Mehser, villaggio turco “a tre fermate di metro” da Kobane.
Ma cosa porta Zerocalcare nei pressi di un paese in guerra? Nella prima parte del reportage le tavole cercano di rispondere a questo interrogativo elencando alcune delle ragioni più ovvie: il bisogno di capire e di fare informazione vera, lontana dalla disarmante semplificazione dei mass media, documentando quindi la vita delle persone, non solo il numero dei caduti e la tipologia delle armi impiegate; il desiderio d’essere riconosciuto come fumettista impegnato; il senso di giustizia nel difendere il Rojava, che indica una via di convivenza pacifica per tutto il Medioriente. Sveglio a notte fonda, sdraiato sul pavimento di una Moschea piena di rifugiati, volontari, staffette come lui e combattenti, Zerocalcare si chiede quale sia in realtà la ragione più vera e la più grande che lo ha spinto a partire, a compiere un viaggio che molti definirebbero una follia.
Ed ecco la risposta, a pagina 42:

“I cuori non sono tutti uguali. Si modellano, si sagomano, sulle esperienze. Come un tronco che cresce storto adattandosi a quello che c’ha intorno. E tutto quello che ha dato forma al tuo… Gli insegnamenti, le cose trasmesse, quelle che ti hanno fatto piangere, quelle che ti hanno fatto ridere, il sangue che ti ribolliva dentro e quello che ti hanno fatto sputare fuori. Ogni cosa. Oggi sta a Kobane”.


Se c’è una cosa che non manca in queste tavole, è proprio il cuore.
Di Kobane Calling si apprezzano anche l’humor, spesso incarnato nel Mammuth di Rebibbia, e la capacità di fare riflessioni complesse in una sintesi di poche pagine, senza pretese, senza la volontà di far cattedra, ma con una presa di posizione netta che alla voce grossa e al bigottismo cieco di certa politica oppone la forza dei fatti, della Storia.
La ricerca della verità raddoppia gli sforzi nel racconto del secondo viaggio, che ci porta, con qualche rocambolesca deviazione, tra i monti di Quandil e a Qamishlo, a Derik e poi a Kobane, una città in macerie, accompagnati tra gli altri da donne combattenti come Ezel, che porta con sé ancora il trauma dei mesi passati da bambina nelle carceri turche, e Nasrin, che ha perso un fratello e molti compagni. Lei, che ha addestrato tanti dei caduti, dice: “Abbiamo tutti dovuto vedere cose orribili in questa guerra. L’unica cosa che ci salva… è ricordarci il senso di quello per cui stiamo combattendo”. Non sono parole banali, se pronunciate al Cimitero dei Martiri di Derik, dove famiglie arabe, curde e assire, musulmane, cristiane e yazide, traggono conforto dalla reciproca vicinanza. Zerocalcare ci parla di una lotta che dura da quarant’anni. Un percorso comune ispirato agli ideali di Abdullah Öcalan per raggiungere una convivenza pacifica e civile dei popoli all’interno di uno stato laico, che non tenga conto di etnie e religioni, che non faccia differenze di genere e che lotti contro il sistema capitalista, in difesa dell’ambiente.
Alla fine di queste tavole in cui alla risata si alterna spesso la commozione, non si può rimanere indifferenti alle sorti del Rojava e del popolo curdo. È certo che con la sua opera Zerocalcare ha avuto il merito di gettare una luce sugli aspetti della resistenza curda più ignorati dai mass media.
Kobane Calling a distanza di tre anni si riconferma una lettura fondamentale e attuale.

Questa recensione è stata pubblicata nel n.75 de “La Salamandra”, rivista interscolastica ed universitaria di Treviso.

Commenti a caldo – Io non sono un albero: storia di un esilio persiano

Chiudo ora con un sospiro dolce il romanzo d’esordio di Maryam Madjidi. Quello che ho tra le mani è un libro dalla struttura molto particolare: racchiude in sé un misto di brani che sembrano gocce versate direttamente dall’otre della memoria, registrazioni, racconti in forma di fiaba, poesie

E’ in effetti difficile definirlo “romanzo”, in quanto somiglia più a uno zibaldone, le cui date si susseguono alla rinfusa, senza alcun rispetto della cronologia storica, ligie piuttosto nel loro collocarsi alla sequenza tematica. L’autrice narra della sua infanzia in Iran, degli anni difficili che seguirono la Rivoluzione, dell’esilio che strappò le radici della sua famiglia e tentò di ripiantarle – con grande dolore, sacrifici e molte difficoltà – a Parigi. “Io non sono un albero“, dice Maryam, che nella sua vita ha viaggiato sino ai quattro angoli del globo. Non è del tutto iraniana agli occhi dei suoi conterranei, né del tutto francese in Europa. Vive in un limbo difficile da abitare e da spiegare, un limbo che racchiude in sé il trauma della perdita di tutto ciò che lei aveva di più caro; ma con parole semplici e metafore poetiche Maryam scosta il pesante arazzo e rivela il sentimento puro, l’emozione feroce, la ferita sanguinante, il fantasma della lingua persiana che a lungo ha insidiato il rapporto tra lei e il padre, un rimpianto terribile. “Io non sono un albero” è una storia di crescita, d’amor patrio e d’amor letterario, di sofferenza e di conquista. A livello stilistico non ho molto apprezzato i dialoghi: sin troppo rivelatori della finzione, mi sono sembrate come citazioni che mal si incastrano con il puro atto della ricostruzione mnemonica. Mi ha affascinato però tutto il resto, specie per la sua capacità di trasmettere con estrema sincerità l’esperienza dell’autrice: da fragile ragazzina rifugiata in terra straniera, a donna padrona di sé, laureata alla Sorbona e con la valigia sempre pronta. Ammetto senza vergogna di aver fatto le orecchie ad almeno quattro pagine di questo libro, perché ci sono dei passaggi che sicuramente amerò tornare a rileggere.

Un tuffo in Nigeria

Il mio febbraio è volato tra le pagine bagnate di Nnedi Okorafor e quelle insanguinate di Tomi Adeyemi, alla scoperta di una Nigeria spaziale, magica, affascinante, pericolosa e sempre emozionante.

Nnedi Okorafor – TED TALK

“Laguna”, (che ho recensito per Lovingbooks e per la rivista interscolastica di Treviso “La Salamandra”), è un romanzo di fantascienza che si inquadra nell’afrofuturismo. Non privo di difetti, ha però il merito secondo me di affascinare il lettore con le sue visioni e di porre importanti domande. E’ una storia che ha a cuore l’ambiente, l’educazione al di sopra di superstizioni e fanatismi, i diritti umani. Tenta di immaginare un futuro diverso per le nostre società, e per farlo, innesca un’invasione aliena al largo di Lagos. Personalmente ho adorato la fisicità di Udide, di Ijele e della Collezionista di Ossa, che mi hanno ricordato un po’ alla lontana le reincarnazioni formidabili di American Gods. La varietà dei punti di vista, sia umani che animali, è un altro punto di forza. Trovarsi a percepire una scena con i sensi di un pipistrello, di un pesce spada o di una tarantola è un’esperienza di lettura che ripeterei volentieri!

Ho già speso molte parole per “Laguna” e per la splendida Nnedi Okorafor, autrice anche del premiato “Chi Teme la Morte”, e che ritroverete su questi schermi con un mio commento per Binti, ma vi consiglio di entrare in contatto con Ayodele, Agu, Adaora ed Anthony: le loro storie e la loro città potrebbero sorprendervi.

E’ quindi tempo di conoscere meglio Tomi Adeyemi, che a soli 24 anni si è guadagnata il primo posto nella classifica dei bestseller per giovani adulti del New York Times e un’intervista al Tonight Show, ospite di Jimmy Fallon.

Tomi Adeyemi

Lagos è ricomparsa sulla mappa di Orisha in “Figli di Sangue e Ossa”, ma questa volta come città completamente trasformata. Condivide però un punto fondamentale con “Laguna”, che è l’incorporazione della mitologia africana. L’autrice ha immaginato un mondo fantastico in cui parte della popolazione ha perso la propria magia, la connessione con gli antichi dei, e vive in schiavitù e segregazione sotto il governo di un sovrano corrotto dall’odio e dalla vendetta. Un riferimento all’attuale situazione statunitense, che ci riporta a The Hate U Give di Angie Thomas: lo scopo più alto di questo romanzo è risvegliare empatia e sete di giustizia.

Zèlie, Amari, Tzain e Inan mi hanno commosso più e più volte durante la lettura. “Figli di Sangue e Ossa” non si è lasciato posare, mi ha stregata, ha stimolato la mia immaginazione come non accadeva da tempo. La storia segue alla lettera la ricetta del perfetto bestseller, perciò non mi stupisce il suo successo e neppure il suo futuro cinematografico: il livello di tensione e la posta in gioco si alzano a ogni capitolo, la caratterizzazione è tale che anche personaggi secondari come Mama Agba, re Asan, sua moglie, la piccola Zu o Roën restano scolpiti nella memoria e hanno innescato in me una curiosità tremenda. L’ambientazione è dinamica e vivace, quanto realistica: si passa da un villaggio di pescatori a un palazzo reale, dalla giungla al deserto, da un’arena sanguinosa a un tempio antico. Non ho mai avuto la sensazione di vedere un bel quadro, ero totalmente immersa nella storia. Vogliamo parlare delle leonere e delle ghepardere delle nevi? Cavalcature mitiche e animali da guerra, ed è subito Narnia…

Ho amato più di ogni altra cosa la percezione della magia, il suo funzionamento e il legame profondo con la mitologia africana, presente non solo nelle esternazioni di potere dei personaggi, nella lingua yoruba usata per le invocazioni, nelle nomenclature dei Clan, ma anche, a un livello meno evidente per un lettore non consapevole, nel ruolo che in questa storia ricoprono gli antenati e le coppie di fratelli. Zelì e Tzain, Amari e Inan non sono gemelli, ma sicuramente hanno carattere di dualità, sono il sole e la luna, si scontrano continuamente e si riuniscono in eterna tensione.

Il finale mi ha soddisfatto ed entusiasmato, lasciandomi con un grosso punto di domanda, e con un’aspettativa pazzesca per quello che sarà il seguito di questa trilogia. Inutile dire che ve ne consiglio vivamente la lettura!

Ottobre 2017 – Le Otto Montagne

Titolo : Le Otto Montagne

autore: Paolo Cognetti

casa editrice: Enaudi, 2016

E’ una storia essenziale e profonda ad aver vinto quest’anno il Premio Strega: parliamo del libro Le Otto Montagne di Paolo Cognetti, edito da Enaudi nel 2016. In quasi duecento pagine, il racconto della vita di una famiglia e di due amici, che si sviluppa all’ombra delle Alpi. Scorre veloce, ma nella sua apparente semplicità scava a fondo, sa di verità, e poggia su un linguaggio limpido, che senza mai cercare di darsi un tono ci offre poche ma importanti metafore, dal senso tangibile: luccicano appena nella pagina, come luccica a tratti il ghiaccio sulla vetta. Ascoltiamo Pietro Guasti, un ragazzino che, tra salite e discese sul fianco della sua Montagna, diventa uomo. Lo osserviamo procedere un passo avanti all’altro e farsi forza trattenendo i conati, con suo padre alle spalle a vegliare sull’arduo cammino, che non prevede pause di ristoro. Una fatica da matti, per conquistare la cima e per tornare all’origine, a quella sorgente che è madre del futuro, così come il ghiacciaio, contenitore di inverni passati, è padre del ricordo. Domina il silenzio, il non detto, spezzato nella prima parte solo ogni tanto da scambi brevi e duri, tra Pietro e suo padre Gianni, e tra Pietro e Bruno, il suo più caro amico; gli uomini non si parlano mai troppo, a volte quasi per niente. Fanno passare anni, senza dirsi nulla, forse senza mai capirsi davvero, ma al ritrovarsi è come se non fosse trascorso un secondo, nonostante l’allargarsi delle conoscenze e degli affetti, e l’aumentare di rughe, occhiaie, capelli e pensieri grigi. In mezzo, il lavoro di cucito di una donna che tende ai loro legami affettivi come fossero cuccioli da accudire. Ed ecco che i brevi dialoghi piano piano si trasformano in discorsi, i non detti tentano sbocchi e percorsi nuovi per venire a galla, assumono la forma di progetti. Questa è una storia di uomini che amano così intensamente la roccia che tocca il cielo, al di là del bosco, da non poter vivere da nessun’altra parte: la montagna crea una barriera fisica tra loro e la società cittadina, di pianura, col traffico e l’inquinamento, il sovraffollamento, la frenesia continua. La montagna è un rifugio per solitari che impone il suo tributo, in un modo o nell’altro: non offre al cuore alcuna via di scampo, lo lascia scoperto, che sia a godere del calore di una vecchia stufa, con a fianco un amico, o al gelo di un inverno senza fine. Quello che più colpisce, nella scrittura di Cognetti, oltre alla suggestione di un romanzo che ha il sapore di un’autobiografia, sono le descrizioni. La Montagna non è solo l’ambiente, è il personaggio. E’ abete, cembro, ghiaccio, neve, pascolo, larice, rododendro. E’ una serie di nomi precisi, come “berio”, pietraia, che danno al racconto una vera e propria fisicità, e a noi l’impressione di avere a che fare con un corpo e di poterlo toccare con mano. Nel suo blog, paolocognetti.blogspot.it, l’autore definisce così la questione, in un dialogo con Lars Mytting (Norwegian Wood, Sedici Alberi) :

“Dovremmo essere esponenti di un nuovo nature writing, […] un bisogno condiviso di uscire dalle città e recuperare ciò che abbiamo dimenticato là fuori. Ma sappiamo entrambi che la natura esiste solo nella testa dei cittadini. Per chi ci vive in mezzo la natura che cos’è? Un campo coltivato, un bosco di cui l’uomo taglia gli alberi, una costa modellata dal lavoro, una montagna abitata e poi inselvatichita: la cosiddetta natura è un mondo di segni e di nomi, di storie, di relazioni, per questo entrambi preferiamo la parola paesaggio. E “scrittura del paesaggio” è una definizione che potrebbe andarci bene.”

Commento personale: leggere Le Otto Montagne è stato un assoluto piacere. Mi è sembrato di non aver mai conosciuto davvero la montagna, prima di aver letto questo libro. Lodo la sua grande sensibilità, il suo saper emozionare e suscitare meraviglia, per non parlare della bellezza e della sostanza del suo stile narrativo, capace di offrire sensazioni tattili e visive molto precise. Mi ha fatto desiderare di infilare gli scarponi e partire.

*questo articolo è contenuto nel n. 65 del giornale interscolastico di Treviso