Respirare Mumbai

Da Megalopolis a Shantaram : in viaggio con le parole

La lavastoviglie si è rotta due settimane fa. Una seccatura, vien da dire, se non fosse che il lavare i piatti a mano si è fatto rito, col passare dei giorni, e ormai quasi pregusto questo momento.

L’acqua scorre. Esce dal rubinetto costante, calda, e si infrange in schizzi sulle stoviglie, sui bicchieri di vetro e sui piatti in ceramica che riempiono il lavabo. Strofino via lo sporco con la spugna imbevuta di detersivo. Lavo senza guanti, non li sopporto, ma sulle nocche già avverto un bruciore, si stanno formando delle piccole bollicine rosse. Un fastidio registrato a mala pena mentre proseguo il mio lavoro con movimenti meccanici, automatici. Dalle cuffie premute sulle mie orecchie esce la voce registrata di Pablo Trincia. Mi sembra di averlo a fianco, qui e ora, in cucina; anzi no, sono io al suo fianco, mi sta guidando per le vie scalcagnate della ricca umanità di Dharavi, il più grande slum di Mumbai, balzando da un futuro terrificante a un terribile presente, e infine arriva a Mahul,  che intossica e uccide i suoi abitanti, proiettandomi in una realtà così lontana dalla mia che fatico a comprenderla appieno, ma di cui non dubito, neppure per un secondo. Sono avvolta dai suoni, dagli odori e dai sapori dell’India in modo tanto tangibile che mi sembra di aver davvero preso un aereo.

“Dio parla all’uomo attraverso le storie”

E’ un proverbio indiano che Pablo  cita nel primo episodio del suo podcast, Megalopolis – Mumbai 2050. Voglio credere a questo, qualunque cosa sia “Dio”. La narrazione si dipana più come un lungo racconto che come un reportage. Eppure i dati ci sono, le proiezioni scientifiche pure. Ma la sensazione resta quella di essere cullata, talvolta sballottata  e stravolta dalle onde di un mare destinato a sommergere tutto.

L’acqua scorre. Panta rei, penso. Giro la manopola per calibrare la temperatura. Ora è troppo calda, ora troppo fredda. Ogni due per tre apro e chiudo il rubinetto per evitare gli sprechi, ma so che è sempre lì a mia disposizione e posso anche berla senza rischio alcuno. Spruzzo un altro po’ di detersivo sulla spugna, inumidisco, strofino, sciacquo, e ricomincio. A 6231 km di distanza, a circa cinque ore in avanti di fuso orario, si vive nel dubbio e nell’attesa: scorrerà l’acqua, oggi?

Arrivano le sei di sera. Un altro momento della giornata, un altro rito. Mi accoccolo sul letto, semisdraiata. Forse non l’ideale per un libro di 1177 pagine, ma il peso retto dai miei polsi, così come l’irritazione sulla pelle delle mani, si riduce a un fastidio trascurabile, mentre ancora una volta precipito attraverso un substrato di nuvole e ritorno corpo nel Maharashtra, alle spalle di Linbaba. Gregory David Roberts mi strappa dalla quotidianità di gennaio, fatta di piccoli e grandi acciacchi, ansie per il domani, discussioni futili e progetti instabili, e mi dice: pace. Shantaram è la prima lettura dell’anno, e già dopo i primi capitoli so che tutte le letture successive soffriranno il confronto.

dalla serie “Shantaram”, Apple Tv

La lettura di Shantaram per me è stato un conforto prezioso e insieme una roulette di emozioni. Questo libro trabocca di vita e leggerlo è come scivolare lenti sotto la superficie dell’oceano e amare ogni immersione. Lo chiudo con un profondo senso di gratitudine. E’ un romanzo-mondo che mi ha risucchiata completamente, coinvolgendo tutti i miei sensi e afferrando in una presa ferma ma delicata mente e cuore. Libri così non si leggono, si vivono, e puoi contarli sulle dita di una mano. Personaggi così ti restano incollati addosso. Prabu, oh Prabu. Come si può amare tanto e soffrire tanto? Eppure se c’è una morale in questa storia, è che non si possono calcare le strade indiane di Mumbai se non a cuore aperto. Ne immagino la consistenza e il peso sul palmo della mia mano, non dissimile dalla spugna che ho usato per lavare i piatti e che ormai porta segni di coltello. Un cuore aperto è un cuore ferito, ma non c’è altro modo per leggere, non c’è altro modo per ascoltare e non c’è altro modo per vivere.