Afro Futurism e Africanfuturism

Come evolve l’immaginazione

0. le ragioni di questa riflessione

Ho già parlato di Afrofuturismo in passato in questo blog. Allora perché, direte voi, tornare a scriverne? Ebbene, mi sono resa conto, leggendo diversi articoli e interviste sull’argomento, di aver commesso un errore, connettendo questo termine così specifico al libro “Laguna“, e quindi sentivo di dover rimediare. Quella che segue è una riflessione aggiornata frutto dei miei approfondimenti, e siccome è una tematica che mi interessa per gli importantissimi risvolti umani e culturali, oltre che letterari, non escludo di poter tornare sull’argomento. In fondo all’articolo i riferimenti bibliografici.

1. collocazione nel panorama letterario

Afro Futurism e Africanfuturism in campo letterario possono essere considerati sottogeneri della Speculative Fiction. Pur avendo tratti comuni, presentano sostanziali differenze. In particolare, l’Afrofuturismo è una corrente trasversale che prende diversi settori artistici, coinvolgendo anche pittori, fashion designer, musicisti e registi.

2. Afrofuturismo: ovvero come spezzare le catene, da Olivia Butler a Janelle Monae, da Sun-Ra a Black Panther

L’Afrofuturismo come termine nasce da un’intervista che Mark Dery fece a Samuel R. Delany, Greg Tate e Tricia Rose nei primi anni novanta. E’ una corrente nella quale le nuove tecnologie, il contesto afro-americano il folklore e la fantascienza convergono, solitamente in chiave critica rispetto agli stereotipi che inchiodano africani e afroamericani alla rappresentazione occidentale, ribaltando i ruoli e spingendosi a immaginare un futuro diverso, in un contesto in cui, però, pesano ancora le tematiche del colonialismo, della diaspora africana, della discriminazione razziale e della schiavitù. E’ questo il caso di Black Panther, film e fumetto della Marvel in cui prende vita la meravigliosa Wakanda, circondata da un’Africa terribilmente attuale; dei libri di Octavia Butler; degli album di Janelle Monae e Sun-Ra. Un altro chiaro esempio è nel racconto “La Truffa Spaziale”* e in The Magical Negro” di Nnedi Okorafor. In questo secondo racconto lo stereotipo del “nero magico”, che ritroviamo in diversi libri anglosassoni e film hollywoodiani, appare inizialmente seguire il copione, correndo in aiuto di Brave Lance; ma quando quest’ultimo si rivela totalmente incapace di reagire e utilizzare al meglio l’aiuto ricevuto per salvare a entrambi la vita, lo stereotipo si ribalta, il nostro protagonista decide di non sacrificarsi, e rompendo la quarta parete ci dice:

tutta questa merda che state leggendo sta per cambiare. Il Nero Magico non si farà più prendere a calci in culo“.

Google doodle, Octavia Butler

3. Africanfuturism: ovvero come coltivare una nuova identità, nelle parole di Nnedi Okorafor.

Il Futurismo Africano, (se posso permettermi di tradurlo così senza per forza richiamare alla mente Marinetti e il suo Mafarka), si può considerare non in contrasto con l’Afrofuturismo, ma come sua naturale evoluzione. Questo perché le storie di questo sottogenere dimostrano totale indipendenza dal mondo occidentale, creando ambientazioni decolonizzate nel continente nero, e rifacendosi al folklore e alla pluralità di identità etniche africane, richiamando le tradizioni e i miti e al tempo stesso includendo nel quadro futuristico i temi delle nuove tecnologie, dell’ambientalismo e del femminismo.

Arrivo a dire che mentre Laguna si inserisce a metà strada tra Afrofuturismo e Africanfuturism, e così pure la trilogia de La Terra Spezzata di N.K. Jemisin e Figli di Sangue e Ossa di Tomi Adeyemi, un’opera come Binti, pur continuando a esplorare dinamiche etniche e interraziali (tra umani e alieni), fa un passo avanti alla conquista dello Spazio aperto, cercando nuove dinamiche. Riscontrabili in un altro racconto di Nnedi Okorafor: Mother of Invention“, in cui una casa smart prende le difese della protagonista, Anwuli, una donna nigeriana, tradita, abbandonata, e in pericolo di vita.

4. Speculative Fiction e “blackness”: il futuro è creta nelle mani degli artisti.

Che si tratti di Afrofuturism o di African Futurism, la nota fondamentale è che tutte le storie qui citate non sono il prodotto di una rappresentazione bianca, ma della riconquista identitaria, della riappropiazione di una visione immaginativa da parte di autori e artisti africani, o afro-americani, che hanno saputo esprimere a parole o in musica o sulla tela il vero valore culturale della blackness rompendo con ogni pregiudizio. L’African Futurism ha il merito di incorporarla in un’idea ancora più innovativa e superba di futuro, che fino a qualche decennio fa avremmo ritenuto più che improbabile e che ora invece ci permettiamo di sognare.

5. Riferimenti bibliografici

credits: immagini di Kaylan Michel, Manzel Bowman

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Commenti a caldo – Crooner

Ieri sera, in una mezzora prima di andare a dormire, ho letto il racconto di Kazuo Ishiguro pubblicato da Einaudi a fine 2018. L’ho preso in prestito in biblioteca, incuriosita dal formato e dalle immagini, convinta che avrei ritrovato la voce che mi aveva tanto colpito con “Il Gigante Sepolto”.

“Crooner” è una narrazione musicale e malinconica, ambientata nella Venezia dei turisti, quella delle orchestre e dei bar di piazza S. Marco e delle gite in gondola lungo i canali. L’accompagnamento delle illustrazioni di Bianca Bagnarelli, unita al narratore in prima persona, rende affascinante l’esperienza di lettura. L’ideale per me sarebbe ascoltare questo racconto, più che leggerlo, con il sottofondo sonoro dei brani citati. Ricorre il tema prediletto di Ishiguro, la memoria e la sua influenza nelle relazioni. Poi c’è la musica, c’è l’ombra di Sinatra, c’è Venezia, ci sono la vanità e l’estetica di Hollywood, l’incontro con il mito che si svela poi essere tristemente diverso dall’artista immaginato. C’è un’ultima serenata d’amore prima di dirsi addio, ed il motivo di questo addio infine, che spiazza e delude.

©Bianca Bagnarelli



Ho passeggiato per Venezia tante volte, così l’ambientazione di Crooner è risultata più che familiare, gradita e intimamente conosciuta. Mi pareva di sentire l’aria umida della sera che circola tra le calli, il gemito dei gabbiani in lontananza, il vociare dei gondolieri e il tramestio dei bar con i tavolini a ridosso dell’acqua verdenera.

Purtroppo, la storia in sé non mi ha particolarmente coinvolto o emozionato, il che mi dispiace. Sono però curiosa di leggere gli altri quattro racconti, contenuti nel libro “Notturni. Cinque storie di musica e crepuscolo“, edito da Faber & Faber nel 2009.